La mostra “Percorsi
visivi” di Katia Dilella alla Galleria Tornabuoni ci accoglie con un angolo
di città a tinte forti e cabine telefoniche che ci ricordano le telefonate
durante i nostri viaggi quando ancora i cellulari non esistevano e si faceva la
coda per sentire amici o familiari. L’artista, con le sue tele, ci spinge a un percorso visivo dall’esterno cittadino
all’interno delle case perché al centro della Galleria troviamo tele con scorci
di abitazioni e oggetti quotidiani “Sedia
rossa 2011”-“Bottiglie 2012” –“ Toilette per signore 2011” o “Sedia con cavalletto 2011”. Bello
inventare storie, immaginare la presenza nell’assenza; l’attesa e il silenzio di
questi quadri richiamano il moto e il dialogo, le prospettive sono alterate
perché non devono ospitare veramente persone, i luoghi reali visti dall’artista
non sono importanti, importante è il suo ricordo che diventa arte. La pittura di
Dilella si compone di tre momenti: la vista, il ricordo e il gesto istintivo
sulla tela; con pennellate dirette fa linee e forme che poi cancella e rifà fino
a arrivare a ciò che vuole, al suo ricordo. Sulla tela il luogo reale diventa
luogo della memoria, quest’ultimo è stato interiorizzato e rielaborato quindi i
colori sono diluiti, tenui, la pittura sfuma come sfumato è il ricordo del
posto visto. C’è un passaggio dall’esterno all’interno per poi tornare
all’esterno con le tele, lo stesso nostro percorso nel vedere questa mostra che
ci invita a soffermarsi sulla nostra memoria dell’esterno, sui nostri ricordi
di luoghi, sui nostri percorsi visivi; cosa ricordiamo e soprattutto come lo
ricordiamo?
Katia Dilella dieci anni fa ha iniziato a dipingere la città, in giro “fotografava” mentalmente scorci, mezzi pubblici, interni dei mezzi pubblici, auto e poi una serie di portoni che dipingeva a memoria in studio. I portoni poi si sono aperti e lei è entrata, ha cominciato a sbirciare gli interni delle case, a memorizzarli fino a che sono arrivati nelle sue opere, visibili a tutti, concreti. Le tele erano materiche, i colori decisi, l’esterno è sempre più invadente, la città ci travolge, le sensazioni sono forti e rumorose. Entrando in un portone, ci chiudiamo la città ed il suo rumore alle spalle per l’intimo, per un recupero di energie. Ora la sua pittura è sfumata, diafana, i colori sono tenui ma luminosi, c’è attesa, riposo, malinconia, il vissuto è interiore, quasi un ripiegamento su se stessi per ritrovarsi.
www.katiadilella.com
Katia Dilella dieci anni fa ha iniziato a dipingere la città, in giro “fotografava” mentalmente scorci, mezzi pubblici, interni dei mezzi pubblici, auto e poi una serie di portoni che dipingeva a memoria in studio. I portoni poi si sono aperti e lei è entrata, ha cominciato a sbirciare gli interni delle case, a memorizzarli fino a che sono arrivati nelle sue opere, visibili a tutti, concreti. Le tele erano materiche, i colori decisi, l’esterno è sempre più invadente, la città ci travolge, le sensazioni sono forti e rumorose. Entrando in un portone, ci chiudiamo la città ed il suo rumore alle spalle per l’intimo, per un recupero di energie. Ora la sua pittura è sfumata, diafana, i colori sono tenui ma luminosi, c’è attesa, riposo, malinconia, il vissuto è interiore, quasi un ripiegamento su se stessi per ritrovarsi.
www.katiadilella.com
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