Firenze Galleria Alessandro Bagnai
- Via del Sole 15/r: una grande gabbia vuota, bizzarro che ci fa qui, in questo
contesto? E’ una prigione? E’ una gabbia per volatili? E’ un recinto per
prigionieri o per schiavi?
Il pensiero corre al ricordo
della “tratta dei neri”, ossia il commercio di schiavi africani, ed ancora al
romanzo “La lettera scarlatta” di
Nathaniel Hawjorne (1850).
Esterne alla gabbia quattro
figure in bronzo di dimensioni reali: uomini uguali vestiti in rosso uno per
ogni lato, accennano un passo con circospezione verso.. mah.. non è dato
sapere, lo sguardo fisso contempla quello spazio vuoto. Chi sono? Dove vanno? Avanzano
fuori o all'interno della gabbia? Sono all’esterno ma potrebbero essere dentro,
sono uomini esili, incerti, quasi sospesi. Concentrati e chiusi in loro stessi
non si cercano per un incontro sembrano essere su una linea invisibile, tra
l’essere ed il non essere, tra il dentro ed il fuori, tra l’andare e lo stare;
forse semplicemente cercano la loro centralità. Questa è la bella installazione
in bronzo di Roberto Barni inaugurata lo scorso 29 giugno 2011, dall’attuale e bel
titolo “Clandestini”.
Quest’ istallazione colpisce
il visitatore, è una botta allo stomaco, un colpo basso, centra nel segno,
certo che i Clandestini “devono” stare dentro la gabbia perché, invece, sono
fuori? E se non sono Clandestini chi sono?
L’installazione è stata
realizzata da Barni nel 2008, l’artista non allude propriamente al fenomeno odierno
di migrazione dei popoli, spesso clandestina, ma per Barni l’uomo “aspira ardentemente”
alla prigionia, al sentirsi clandestino pur partendo da una condizione naturale
di libertà, cioè quando siamo fuori dal recinto delle convenzioni e del
conformismo.
L’uomo spesso si limita da
solo, si colloca all’interno di una gabbia che può essere anche dorata, bella,
confortevole e anche sicura ma pur sempre una gabbia, accade quando non siamo
noi stessi fino in fondo, quando non riusciamo a prendere in mano la nostra
vita con tutte le responsabilità che ne conseguono di essere liberi da vincoli
soprattutto interiori perché, tutto sommato, la libertà fa paura ed alle volte
è meglio o più facile entrare e stare in una gabbia, ci dà sicurezza, è lei che
ci delimita, che ci dà dei confini ben precisi, che ci dà le regole. Allora questi
Clandestini di Barni sono fuori ma forse anelano ad essere dentro la gabbia,
desiderano essere contenuti e protetti anche se da sbarre di ferro. Oppure questi
uomini stanno solo osservando lo spazio vuoto e recintato per poi muovere i
loro passi verso la libertà?
Gli uomini/clandestini di
Barni sono omologati, uguali, rappresentano più il concetto “uomo” che l’individuo
reale, sono assorti nella loro interiorità, taciturni e poetici, un poco
metafisici. La loro provvisorietà, il loro equilibrio precario diventa una possibile
forza e fermezza per una loro ricerca
individuale facendo si che la libertà individuale sia recuperata e svincolata
“dall’aspirazione ardente” alla prigionia dell’uomo.
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