L’atelier
di Domenico Lo Russo è pieno di quadri, ma non solo, qui c’è la sua vita, i
suoi studi, il suo lavoro di chirurgo plastico e di pittore. Una
xeroradiografia di giocattoli della sua infanzia (Giocattoli – 1987), una grande tela con la figura solitaria del
padre circondato da segni e frasi per dare voce a un rapporto non facile. Poi
le narrative: “Una grande storia d’amore
– 1975”, storia del naso “Studio N -
2000”, quadri che si leggono come i fumetti o i carretti siciliani. E
ancora seni prima e dopo le operazioni, foto stracciate e poi dipinte di pubi e
volti, l’uso della garza con effetto vedo
non vedo, gli autoritratti. Una grande xeroradiografia toracica su tela: la linea
delle clavicole e la spina formano un uomo in croce, ritagliato, nella tela c’è
un buco e il crocifisso, a lato, in pantaloni azzurri e maglietta gialla, ci
viene incontro, ci abbraccerà? Tra il’76 e l’‘87/88 Lo Russo usa la
xeroradiografia, strumento d’indagine medica, come supporto pittorico, con
poesia il suo colore azzurro diventa mare, cielo, orizzonte, paesaggio.
Lo
Russo dipinge dall’età di 14 anni; medico per tradizione familiare, ha scelto
la chirurgia perché in questa branca della medicina le mani sono importanti. Durante
la carriera di chirurgo plastico, tuttavia, non ha mai abbandonato la pittura,
alla quale ora si dedica a tempo pieno. Nato a Curinga, in Calabria, vive a
Firenze dal 1959, ma si sente ancora profondamente calabrese. In alcune sue
opere la sua terra: foglie di mandarino, olive, conchiglie, le colline del suo
paese. “Legati – 1979” è il legame tra Curinga e Firenze, dato
da due immagini legate con il filo di spago delle valigie dei migranti.
L’ambiguità della sua arte ci obbliga a superare limiti, ad andare oltre
l’apparenza, verso la coerente sostanza delle
cose apparenti dove il chirurgo dialoga con il pittore, il lavoro medico si
sposta nelle tele e la sua pittura nel suo lavoro. Le sue mani che sui corpi operano,
tagliano, suturano, tolgono, aggiungono, sulle tele dipingono col piacere del
colore e della materia.
Possiamo
conoscere questo artista visitando la sua mostra “La coerente sostanza delle cose apparenti” alla Galleria Immaginaria
di Firenze fino al 15 gennaio 2012, dove Lo Russo espone alberelli e cespugli sferici
di bosso posticcio, inseriti dentro teche, quasi fossero delle reliquie,
oggetti preziosi o antichi, reperti archeologici in musei. Di fronte ad essi “si guarda ma non si tocca”. Il bosso
decorativo di fronte all’albergo o al negozio, invece, viene toccato per capire
se è vero o falso, in queste opere il vero ed il falso si confondono come nella
chirurgia plastica dove il finto prende il posto del vero, il vero si modifica
ad opera di un bravo chirurgo e diventa il
finto/vero corpo. Lo Russo chirurgo trasforma esteticamente parti del corpo
umano, l’artista rende degli oggetti seriali pezzi unici, interviene su questi
oggetti inserendoci colore e grafia, vederli è un piacere per il corpo e per la
mente, c’è colore e armonia; l’oggetto banale di plastica è diventato altro, vasi con fiori, peperoncini della sua
Calabria, palle fiorite e profumate. La galleria è diventata un giardino, un balcone esposto al caldo sole
calabrese, lo sguardo all’orizzonte, l’azzurro del cielo e del mare, gli odori e
i colori mediterranei paiono intanto mescolarsi all’inverno fiorentino.
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