sabato 19 gennaio 2013

Il naturalismo lirico di Dino Caponi


Si percorre la mostra Il naturalismo lirico di Dino Caponi  "fluttuando" tra i suoi disegni giovanili e poi tra i suoi paesaggi,  marine e  paludi. L’esposizione, inaugurata lo scorso 5 maggio 2011 presso Palazzo Medici Riccardi, è visibile fino al prossimo 7 giugno. Propone una raccolta di disegni degli anni ’30  e dipinti degli anni ’50 e ’60 del pittore Dino Caponi, allievo prediletto di Ottone Rosai, nato a Firenze nel 1920 e morto ad Arezzo nel 2000. S’inizia il percorso in bianco e nero: esposti sono i disegni a matita di un giovanissimo Caponi fino ad arrivare a L’accattone e Mensa dei poveri, grandi disegni scuri a carboncino. Gli studi, i ritratti, le figure  dei frequentatori della mensa, sono densi, espressivi, un vero spaccato della società del tempo. Lentamente ci immergiamo nel colore; i paesaggi ad olio degli anni ’50 sono campate colorate che diventano via via sempre più astratti, delicate forme geometriche di colore mai definite e delimitate che si ricompongono a formare vedute se ci allontaniamo dal quadro e socchiudiamo per un attimo gli occhi. Poi davanti a noi le bellissime marine, osservarle significa essere lì, navigarci dentro o ancor meglio nuotarci, gli orizzonti non sono mai netti, le onde si rincorrono, increspate, mai tempestose come in Vele (1961) dove pennellate orizzontali e verticali danno il senso dell'infinito, del poetico, del movimento che culla con dolcezza e profondità. Nel nostro “fluttuare” approdiamo alle paludi di Caponi, si ha l’impressione di stare davanti a piccole cattedrali  gotiche con le canne che  si innalzano e si intrecciano formando archi acuti. Le pennellate si riducono sempre più in tratti verticali ed orizzontali, alle volte incrociandosi ma mai confondendosi, è un astrattismo lirico, poetico, delicato, senza mai perdere di vista il colore, il movimento, l'onda e la morbidezza. Le sue pennellate vanno in verticale, si allungano verso l'alto, si slanciano, ricordano il movimento futurista ma conservano la poesia ed il sussurro del vento nel canneto e l’increspare della superficie dell’acqua palustre. Siamo birdwatchers, dal nostro capanno osserviamo e spiamo il comportamento degli uccelli nelle paludi di Caponi, in silenzio religioso aspettiamo, ci concentriamo nell’attesa di un movimento, di un evento straordinario che non accadrebbe senza il silenzio avvolgente del nostro “intorno”. Come all’interno di cattedrali gotiche non parliamo ma sussurriamo per non disturbare  la natura,  perché i canneti nascondono e proteggono la vita, sono calde incubatrici. Lentamente le macchie di colore delle ultime paludi si riducono sino a diventare linee rosse verso il cielo, radianti, come dei laser - Palude (1973).  Momenti magici, sussurri, silenzi, colori caldi, pennellate sempre più astratte ci hanno accompagnato nella visita di questa mostra. Caponi perde il suo essere solo pittore per diventare anche poeta. Il colore e le linee sono  come dei versi che ci fanno contemplare e sognare la natura coi suoi irripetibili paesaggi.


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